Negli ultimi decenni lo studio della Popular Music è diventato una
disciplina autonoma, soprattutto nei paesi anglosassoni. In Italia, dopo essere
stata inserita tra gli studi universitari grazie anche al contributo di studiosi
di fama internazionale come Franco Fabbri, da qualche anno ha fatto la timida
comparsa in alcuni conservatori (Cuneo, Frosinone, Parma, Pescara e Trento).
Questa scarsa diffusione è dovuta alla diffidenza che ancora oggi nutrono
diversi docenti, spesso vittime di superati luoghi comuni dovuti alla scarsa
conoscenza dell’argomento. Non è consolante sapere che le stesse diffidenze
riguardano anche altre aree disciplinari come la Musica Antica, la Musica
Elettroacustica e il Jazz che sono state già inserite nei conservatori italiani.
Eppure lo studio della Popular Music in Italia inizia negli anni sessanta,
quando Umberto Eco pubblica “Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e
teorie della cultura di massa” (1964). Negli anni ottanta la rivista “Laboratorio
Musica”, diretta da Luigi Nono, supera le schematizzazioni accademiche di
genere occupandosi anche della “canzone” e della “Musica Rock”. Oltre a quelli
citati, nel corso degli anni molti altri musicisti, studiosi e intellettuali
italiani si sono occupati della Popular Music.
Vediamo di capire quali sono le diffidenze ancora presenti nei
conservatori italiani. Molti pensano che la Popular Music sia un genere musicale legato a un mercato di massa o alla diffusione dei mass media; altri pensano che si tratti esclusivamente della musica di tradizione orale; altri ancora pensano che sia semplicemente un tipo di musica inferiore o che soddisfa gusti volgari (da vulgus: gente comune, popolare).
In realtà non si tratta di un genere musicale,
tutt’al più si può considerare un contenitore di generi molto diversi tra loro:
canzone, tango, rock‘n’roll, rebetico,
valzer, celtica, liscio, cabaret, flamenco, new wave, etc. Questa enorme
diversificazione fa si che la didattica della Popular Music sia da considerare
in un’area interdisciplinare in quanto le tecniche di esecuzione sono
estremamente diverse anche sullo stesso strumento.
Per il motivo esposto sopra, è
chiaro che i docenti di strumento per la Popular Music non possono essere
reclutati all’interno di un solo ambito musicale (Jazz, Musica di tradizione,
Lirica). Difficilmente un docente di strumento può essere esperto delle diverse
tecniche (alcune incompatibili tra loro).
Basti pensare alla chitarra che viene
suonata in modi diversi nel flamenco, nel rock o nella canzone napoletana. Se poi
aggiungiamo altri strumenti a corde pizzicate come il banjo (nelle sue varianti
a quattro, cinque o sei corde), la balalaika, il bouzouki, cavaquinho, il
mandolino, l’oud, il sitar, l’ukulele e tanti altri, la complessità aumenta in
quanto è impensabile reperire un insegnante per ogni genere o per ogni tipo di
strumento. Richard Middleton (Emeritus
Professor of Music alla Newcastle University, fondatore della rivista “Popular
Music” e autore di numerosi scritti sull’argomento) scrive che “… la popular music può essere inquadrata
opportunamente soltanto come fenomeno mutevole all’interno dell’intero campo
musicale; e questo campo, insieme ai suoi rapporti interni, non è mai immobile
- è sempre in movimento.” (R. Middleton, Studiare la popular music). Questo
vuol dire che un docente non deve essere “esperto” di un determinato genere
musicale, ma deve essere disponibile a muoversi all’interno dell’intero campo
musicale.
In conservatorio sento dire da alcuni colleghi che la Popular Music non
appartiene alla tradizione del nostro istituto. A questi colleghi voglio far
notare di quanta musica di tradizione popolare viene regolarmente insegnata da
anni, anche da loro. A distanza di secoli non tendiamo più a distinguere il
genere popolare da quello considerato “serio” (peraltro solo da una determinata
classe sociale dominante), perché tutto rientra nel calderone della tradizione.
Quanti valzer facciamo suonare ai nostri studenti di strumento? Eppure il
valzer è la musica di un ballo che a suo tempo era considerato rivoluzionario e
scandaloso al pari del rock’n’roll degli anni ’50. Si trattava infatti della prima danza in cui i ballerini si abbracciavano.
Non è un caso che Johann
Strauss II, considerato il maggior compositore del genere, nel 1848 si schierò
apertamente con le proprie composizioni dalla parte dei giovani rivoluzionari,
come si può evincere dai titoli delle sue opere del periodo: Freiheitslieder (Canti
per la libertà) valzer op. 52, Revolutions-Marsch (Marcia della Rivoluzione)
op. 54, Studenten Marsch (Marcia degli Studenti) op. 56, etc. Altro che musica
della tradizione!
Anche il singspiel (come le forme corrispondenti della ballad
opera inglese, dell’opéra-comique francese e della zarzuela spagnola)
appartiene alla sfera della tradizione popolare ed è all’origine dell’operetta
e del musical.
Eppure quante volte sentiamo nostri studenti impegnati con le
arie dal Flauto Magico di Mozart. Potrei
fare tanti altri esempi, ma concludo ricordando a questi colleghi che quando
ero studente negli anni settanta c’erano molti docenti che facevano gli stessi
discorsi a proposito di compositori come Debussy e Stravinskij!
Ignorare la
Popular Music ai nostri giorni vuol dire ignorare la maggior parte della musica
che viene attualmente suonata e con la quale molti nostri studenti si dovranno
confrontare alla fine dei loro studi, quando inizieranno la professione
musicale.