21 giugno 2011

Un anno in conservatorio

Sono finite le mie lezioni ed è tempo di fare alcune considerazioni.


Nel conservatorio di Santa Cecila permane ancora una concezione della musica che ritenevo già superata quando ne ero un allievo. L'imbarazzante estraniamento di gran parte dei musicisti dalla realtà in cui viviamo si riflette nel comportamento di molti colleghi che non prendono minimamente in considerazione l'aspetto sociale della musica. La musica, come tutte le arti, è parte importante della nostra vita: descrive, esalta, enfatizza il nostro quotidiano. La musica è principalmente una esperienza di vita che ci coinvolge sia come produttori che come fruitori. Ci basta ascoltare qualche secondo di una musica che ha segnato un particolare momento della nostra esistenza per suscitare pensieri, ricordi, emozioni e sentimenti che ci appartengono singolarmente o collettivamente. La musica del passato deve essere mantenuta in vita perché ci aiuta a capire la nostra storia, ma non può essere considerata l'espressione del presente. In conservatorio molti colleghi (e di conseguenza i loro allievi) continuano a pensare che la musica da praticare e da insegnare sia solo quella del tempo andato e appartenente solo ad alcune classi sociali. Continuano a pensare che il musicista sia e debba essere una persona al di fuori della vita reale con la sola missione di far riviere le composizioni dei grandi autori del passato migliorandone l'aspetto tecnico. Il risultato è che spesso questa musica “accademica” finisce per perdere ogni suo significato diventando un mero esercizio di abilità, più simile ad una gara dei giochi olimpici. Mi meraviglia sentire ancora dire da qualche collega che il vecchio sistema (basato sulla realtà di fine '800) è ancora valido e da preferire a qualsiasi esperienza di didattica musicale attuale.


Fortunatamente nel frattempo la musica jazz, rock e pop hanno colmato il vuoto lasciato dalla sedicente musica colta, nonché da quella che si definisce ancora “di avanguardia” anche se ripropone costantemente esperienze musicali vecchie di vari decenni e che non sono mai state espressione della società contemporanea. Ai tempi di Verdi, ascoltare la sua musica era parte della storia che si stava vivendo. Così anche per Beethoven, Mozart, Puccini, Wagner e tutti gli altri. Dopo il secondo conflitto mondiale, tranne qualche eccezione, il loro ruolo è stato preso da Parker, Mingus, Piazzolla, Zappa e da tanti altri, ma a Santa Cecilia (e nei conservatori in genere) sembra che molti non se ne siano accorti.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Lo sa, Maestro, che lei rischia grosso a dire così...? Battute a parte, sono perfettamente d'accordo con lei.

francesko ha detto...

La cosa strana è che la musica, tra le arti, è la più conservatrice. Frank Zappa disse ad alcuni studenti di composizione che non si facessero illusioni in quanto la loro musica sarebbe stata suonata dopo la loro morte dato che si suona principalmente la musica dei morti al posto di quella fatta dai vivi. La sua profezia valse anche per se stesso che solo da morto è stato apprezzato ed eseguito in tutto il mondo.